Candace Pert, “Molecole di emozioni”.

Candace Pert, “Molecole di emozioni”, Edizioni TEA, 2005
Quando ho finito di leggere questo libro mi è venuto subito da cercare notizie recenti sull’autrice per il bisogno che ho avvertito di sapere ancora e ancora.
Con rammarico ho scoperto che Candace Pert è morta nel 2013, ma la ricerca mi ha fornito una foto di lei in cui mostrava il volto loquace e radioso che avevo immaginato nel libro.
“Molecole di emozioni” mi è sembrato un bel diario di viaggio nella scienza, nella vita e nelle emozioni, vissuto con molta bellezza, passione, poesia e curiosità.
Gli studi in neurologia e il percorso professionale che animano le pagine del romanzo vengono indirizzati da una combinazione di eventi per cui alla neolaureata Candace viene prescritta, a scopo terapeutico, la morfina per una cura che durerà per un’intera estate precedente all’inizio del suo dottorato. Capire il meccanismo con cui una molecola esogena possa dare benessere psico-fisico anche quando le condizioni non sono favorevoli (ricovero prolungato, dolore, depressione), sarà la domanda che guiderà le scelte imminenti nella sua carriera accademica.
Di fatto, la dottoressa Pert è la prima neuro scienziata a dimostrare l’esistenza del recettore degli oppiacei, all’inizio degli anni ’70, quando ormai il consumo di “sostanze di abuso”, illegali, è molto diffuso e gli interessi della ricerca pubblica e privata sono focalizzati sul trovare un farmaco per risolvere le relative tossicodipendenze.
I recettori sono organi di senso delle cellule che comunicano con l’esterno attraverso i neurotrasmettitori, gli steroidi e i peptidi, formando con essi uno specifico legamento che comporta una serie di reazioni biochimiche che a cascata innescano delle reazioni che si propagano fino agli organi bersaglio del processo.
“Legamento! In effetti si tratta di sesso a livello molecolare!” – queste le parole esatte che troverete nel libro insieme ad un’accurata descrizione del cervello chimico e altre diavolerie scientifiche.
L’autrice, per professione, maneggia una materia ostica (la ricerca scientifica-biologica-medica), presidiata da ristrette cerchie di potere finanziario-politico-scientifico-maschilista; di tale materia decide di svelare alcune chiavi importanti, rivolgendosi all’immaginazione del pubblico, del suo pubblico, fatto di persone “normali” e “anormali”, perché composto da accademici e da chiropratici, da medici tradizionali e medici olistici.
Candace Pert, in tutta la propria vita, si muove in forza della propria capacità di integrare saperi “diversi” e dell’integrazione dei saperi è una tenace paladina.
Come divulgatrice scientifico-culturale, usa la bellezza e la semplicità quando descrive i recettori come ninfee che galleggiano in uno stagno o come tessere di un mosaico adagiate sulla parete cellulare a formare un disegno dalle mille sfumature diverse.
Come scienziata sceglie la bellezza quando per bisogno di chiarezza, introduce i colori nella autoradiografia per mostrare i recettori cellulari in modo accattivante e scientificamente più rappresentativo, mostrando un’immagine simile alle moderne carte meteorologiche.
Candace comunica poesia e passione quando stampa su poster alcune di quelle immagini per decorare i corridoi del laboratorio e le paragona a farfalle colorate immaginando di aver inventato il fotoneurorealismo da esporre alla galleria di arte di New York.
Bellezza e scienza.
Scienza come procedimento nel quale quelle immagini potevano suggerire altre domande, altre intuizioni da approfondire.
La Pert si infila in una successione continua di avventure, ciascuno delle quali, chi sa di gestalt, non può non vedere come il processo di soddisfazione di un qualche suo, particolare, bisogno esistenziale etico-estetico: la cura delle tossicodipendenze, della malattia del padre o di qualche male orribile dell’uomo, l’espressione del bello, la ricerca del piacere.
In quel campo attraversato da dinamiche di potere, e socio-culturali, spesso a lei ostili, la Pert riesce a trovare le sue soddisfazioni ed i suoi equilibri esistenziali facendo leva sulle proprie capacita di ascolto, sulla sua empatia e “leggerezza” comunicativa.
Donna scienziata all’interno del National Institutes of Health (il Palazzo, come le piace chiamarlo), mette in piedi uno stravagante laboratorio, in cui capita che si selezionino i collaboratori preferibilmente di origine italiana per il loro calore, la loro spontaneità e gioia di vivere al fine di portare una nota gioiosa, oltre che creativa, nell’atmosfera del laboratorio.
La sua è una carriera che inizia con una rapida ascesa, che si infrange contro principi e regole cui non riesce a sottostare.
Candace è una donna nata nel 1946, che attraversa, partecipandovi in pieno, tutte le spinte emotive, sociali e politico-culturali dei movimenti di protesta dagli anni ’60 in poi.
In lei spicca un’anima femminista e socio-culturalmente “alternativa”.
Agita dal suo desiderio di giustizia ed equità, infrange ripetutamente alcune basilari regole del Palazzo e dell’ambiente scientifico-politico-culturale che lo contiene, finendo col distaccarsene.
Rendendosi conto di trovarsi in un gioco politico di cui sceglie di ignorare le regole, se ne chiama fuori volontariamente, arrivando perfino a disinteressarsi degli aspetti economici della scienza. Sfida e abbandona il sistema ufficiale, accademico, della ricerca scientifico-biologica, per vendersi alle promesse dell’interesse dei colossi farmaceutici, quando ormai ha capito di aver trovato la giusta cura per l’AIDS, ma è lì che inizia il suo declino professionale, quando le sue scoperte non riescono a tenere il passo degli interessi economico-finanziari di chi la sta sovvenzionando.
Candace Pert si ritrova in una crisi esistenziale-materiale-personale dalla quale si riavrà grazie alla fede e al canto religioso, ma anche e soprattutto alla sua amata scienza e al potere del perdono che le permetterà da li in avanti di affidarsi alla corrente, di giocare, divertirsi e accogliere.
Molto ci sarebbe ancora da scrivere su questo libro, che è un libro che non può non essere letto!
Ma mi avvio a concludere, lasciando alla curiosità di chi mi sta leggendo la voglia di scoprirne l’intera ricchezza.
In questa sorta di romanzo autobiografico, Candace scrive: “dobbiamo assumerci la responsabilità delle emozioni che proviamo. Non è vero che gli altri possono farci sentire bene o male: siamo noi che, in modo più o meno cosciente, scegliamo come sentirci in ogni singolo istante della nostra vita. Sotto molti aspetti, il mondo esterno è uno specchio che riflette le nostre convinzioni e aspettative”.
Nella mia vita io ho trovato uno specchio magico, i cui riflessi mi fanno vedere, di me, ciò che non mi piace e voglio/posso cambiare, e mi fanno vedere anche in che modo poterlo fare.
È “Lo Specchio Magico”, l’associazione culturale torinese che gestisce la Scuola IN Counseling cui sono contenta ed orgogliosa d’essere iscritta e di frequentare con gran piacere e profitto personale.
E allora avanti! Specchio specchio delle mie brame…
Buona lettura a Tutti.
Rosa Avolio, allieva II anno Scuola IN Counseling Lo Specchio Magico Torino.