Le “pratiche” di base del counseling e l’arte dello yogging

Le “pratiche” di base del counseling e l’arte dello yogging
Le “pratiche” che tratteremo in questo capitolo 5.2, del presente “Manuale per la Formazione IN Counseling”, hanno un valore di straordinaria importanza, per il nostro “saper fare” counseling.
L’accoglienza, l’ascolto, l’osservazione non giudicante, la presenza, la spola, il feedback, sono le “pratiche” di base del nostro fare counseling.
Il percorso formativo, per diventare counselor, alla Scuola “IN Counseling – Lo Specchio Magico Torino”, è centrato sull’apprendimento di tali pratiche e della capacità di usarle opportunamente, come leva di sviluppo di quella relazione d’aiuto, diaologico-processuale, che chiamiamo counseling.
Principio di base del counseling è l’assioma filosofico (ampiamente ripreso dalla psicologia umanistica) che ciascuna persona disponga, potenzialmente, sin dalla propria nascita, di quanto serva per affrontare e superare le difficoltà del vivere.
Si tratta di un innato bagaglio di potenzialità, proprie dell’intero genere umano (seppur variamente distribuite in ciascun individuo), la cui funzionale ed opportuna messa in atto, da parte di ciascuno di noi, dipende, di volta in volta, da quanto e da come le stesse siano state sviluppate.
Tale sviluppo si rende possibile, e si qualifica, in forza del rapporto individuo-ambiente, mediato dalla dimensione socio-relazionale in cui questo si declina e dai personali correlati emotivi di cui ogni singolo individuo fa esperienza.
Il presupposto sul quale noi counselor poggiamo il nostro fare counseling è che, chi non riesce ad affrontare positivamente le proprie difficoltà esistenziali, non ci riesca perché non ha ancora trovato il modo, nella dimensione socio-relazionale in cui vive, di sviluppare/valorizzare quelle proprie potenziali capacità, che gli permetterebbero di riuscire a farcela ad affrontare positivamente le proprie difficoltà esistenziali.
La relazione di counseling si propone allora come quella “dimensione socio-relazionale”, costituita e gestita ad hoc, per aiutare l’individuo a sviluppare, e attivare, le capacità personali di cui potenzialmente dispone, per meglio affrontare le difficoltà esistenziali che sta vivendo.
Nella contingenza in cui sta vivendo le difficoltà che non riesce a superare, l’individuo non ha ancora sviluppato la coscienza e la conoscenza delle proprie, relative, potenziali capacità di farcela e non può, quindi, ricorrervi.
La relazione di counseling si propone, allora, come dimensione socio-relazionale “protetta”, in cui fare esperienza di queste capacità ed apprenderle.
Il tutto avviene perché nella relazione di counseling:
- sperimentiamo nuovi modi di contattare e rapportarci con l’ambiente (alias con gli altri) e con noi stessi;
- facciamo esperienza di nuove sensazioni, sentimenti ed emozioni, di nuovi pensieri e visioni di noi stessi e degli altri;
- scopriamo la possibilità di nuovi comportamenti e strategie d’azione personale (di cui facciamo esperienza pratica, ma soprattutto simbolica-immaginaria, nella relazione stessa di counseling).
Insomma, è quanto viviamo nella relazione di counseling che dà il via allo sviluppo delle nostre capacità potenziali di far meglio fronte alle difficoltà esistenziali, che stiamo vivendo e che ci hanno portato a chiedere aiuto ad un counselor.
Ma cosa viviamo nella relazione di counseling?!
- viviamo l’esperienza dell’essere accolti e dell’accogliere
- viviamo l’esperienza dell’essere ascoltati e dell’ascoltare
- viviamo l’esperienza di cosa possa capitare ad osservare e ad essere osservati senza giudicare
- viviamo l’esperienza della nostra e dell’altrui presenza
- viviamo l’esperienza di cosa capiti a fare la spola (cosa sia la “spola” cui qui ci riferiamo sarà più avanti esplicitato, nel capitolo 5.2.1)
- viviamo l’esperienza di cosa produca ricevere e dare feedback, secondo una specifica modalità ed intenzione.
È questo “vivere e fare esperienza”, nella e della relazione di counseling, che attiva e/o rilancia i processi di sviluppo delle nostre potenzialità, facendocele riconoscere e spingendoci a valorizzarle, usandole come chiavi di gestione positiva delle difficoltà che stiamo affrontando.
Chiediamo aiuto ad un counselor per gestire difficoltà esistenziali affrontate con stati d’animo, atteggiamenti mentali e comportamentali alle stesse non adeguate.
Si tratta immancabilmente di “situazioni” caratterizzate da qualche cambiamento, che produce in noi conseguenze emotive vissute negativamente, di cui vorremmo liberarci, ma che (ahinoi!) involontariamente alimentiamo, sia con pensieri, visioni delle cose, immaginazioni variamente catastrofiche, sia con comportamenti reattivi ed inopportuni, non all’altezza di quello che (ci) sta capitando!
Insomma, ancora una volta, alla base di tutto ritroviamo ciò che “Sentiamo”, “Pensiamo”, “Agiamo”, ed il modo in cui lo facciamo interagire (soprattutto a nostra insaputa!).
Quelle che qui sono presentate come le “pratiche” del counseling, sono le “leve” che noi counselor utilizziamo per far fluire la relazione di counseling come processo di consapevolezza, che accompagnerà i nostri clienti a scoprire e a realizzare quei cambiamenti di stato d’animo, di pensieri e di comportamenti di cui necessitano per approdare ad una positiva gestione dei problemi che stanno vivendo.
L’uso creativo di queste “leve” è quello che qui chiamiamo “Yogging”, lo “Yoga S.P.A.”, lo “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”!
Lo yogging è l’anima del nostro fare counseling.
È quel nostro saper stare con, e animare, ciò che sentiamo, pensiamo e facciamo, per renderlo sempre più chiaro alla nostra coscienza; una coscienza che saprà così:
- indirizzarci verso i cambiamenti necessari del nostro pensare ed agire,
- portarci ad una più sana ed efficace gestione di ciò che ci sta mettendo in difficoltà,
- accompagnarci con un sentire che da più accettabile diventerà sempre più gradevole.
Ciò che viviamo e di cui facciamo esperienza in una relazione di counseling può accadere solo in una relazione di counseling, o in una relazione che ne riproponga le stesse forme e gli stessi contenuti.
Insomma, il counseling è un’attività professionale che necessita di uno specifico setting e di pratiche interattive, relazionali, agite in un tempo presente, in presenza contemporanea di counselor e cliente.
Questa precisazione vale:
- sia per contrastare il semplicismo (e la stupidità!) di chi crede che l’essere un counselor obblighi a non giudicare mai, ad essere sempre accoglienti e ad accettare ogni tipo di merda che ci gira intorno;
- sia per affermare l’identità del counseling come attività professionale specifica, basata su di un particolare modo di stare in, e gestire, la relazione interpersonale d’aiuto; un modo basato su un insieme di pratiche specifiche, attivate creativamente, alla bisogna; un modo che qui proponiamo di chiamare “Yogging”, lo “Yoga S.P.A.”, “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”.
Per ciascuna di tali pratiche, che qui sotto elenchiamo, proporremo una disamina ad hoc, nei prossimi sottocapitoli di questo manuale:
5.2.2 OSSERVAZIONE NON GIUDICANTE
Se vuoi fare esperienza di questo modo di fare counseling. Se vuoi imparare a farlo.
CONTATTAMI.
Domenico Nigro, direttore Scuola IN Counseling – Lo Specchio Magico Torino.